Palazzotto del Carmagnola Un palazzo nobiliare nel cuore di Casei Gerola

palazzotto32Di fronte all’Insigne Collegiata San Giovanni Battista è possibile vedere il Palazzotto del Carmagnola, antica sede del Broletto.
Purtroppo la porzione di edificio che ci rimane non rappresenta l’intera struttura che, un tempo, si estendeva fino a coprire tutta la superficie dell’isolato.
Questo palazzo nobiliare richiama la centralità di Casei Gerola durante il XV secolo: qui, infatti, visse il Conte Francesco Bussone detto Il Carmagnola, Signore di Casei Gerola.

Sulla facciata esterna si trovano sei finestre: partendo dalla cantina vi sono due finestrelle strombate con arco a tutto sesto, al piano nobile due finestre cordonate ad arco ribassato e al piano superiore due finestre con arco a sesDSC_4045MD_21532ato acuto che contribuiscono a slanciare l’edificio e a datare l’edificio nel XV secolo.

Dal cortiletto interno è possibile accedere alla scala che conduce al piano nobile, caratteristica tipica dei palazzi nobiliari. All’interno della sala centrale è possibile ammirare il soffitto a cassettoni e un maestoso camino in pietra arenaria che porta lo stemma della Famiglia Sacco, divenuti proprietari del Palazzo dopo la decapitazione per tradimento del Carmagnola nel 1432.

L’edificio ritrova il suo splendore negli anni Settanta del Novecento quando Ubaldo Ubaldi, dirigente della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, comprò il Palazzotto nel 1973.
Grazie al Signor Ubaldi l’edificio fu restaurato rispettando le preesistenze e la sua natura antichissima arredandolo con mobili in stile come il tavolo in noce, delle panche del XVI e del XVII secolo e una riproduzione di Pietro Giuseppe Barbaglia (1841-1910) del celeberrimo quadro di Raffaello Lo Sposalizio della Vergine (1504) esposto alla Pinacoteca di Brera.

Il pipalazzotto17ano superiore, adibito a camera da letto, presenta un letto in noce con colonne tortili e stemma intagliato nella testata del letto. Sopra al letto troviamo un quadro rappresentante San Carlo Borromeo in atto di preghiera davanti al crocifisso e ad un teschio, oggetto che dona all’opera anche il carattere di Vanitas, cioè di una natura morta in cui il teschio stesso rappresenta il concetto di memento mori.